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Obesità e malattie metaboliche: cause, diagnosi e cura

Definizione ed epidemiologia

L’obesità è una condizione patologica cronica caratterizzata da un eccesso di peso corporeo derivante da un eccesso di massa adiposa, in misura tale da influire negativamente sullo stato di salute. Dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sottolineano che l’86% delle morti e il 75% della spesa sanitaria in Europa e in Italia sono determinate da patologie croniche, che hanno come minimo comune denominatore 4 principali fattori di rischio: fumo, abuso di alcool, scorretta alimentazione e inattività fisica. Queste ultime due condizioni sono alla base dell’allarmante e continuo aumento della prevalenza di sovrappeso e di obesità nelle popolazioni occidentali e in quelle in via di sviluppo , che ha raggiunto le proporzioni di un’inarrestabile epidemia.

Nel continente europeo le stime mostrano la presenza di circa 400 milioni di persone in sovrappeso, di cui circa 130 milioni obese. In pratica metà di tutti gli adulti europei sono in sovrappeso e di questi circa un terzo sono francamente obesi. La tendenza è particolarmente allarmante nei bambini e negli adolescenti. In Italia, sono circa 17 milioni gli individui in sovrappeso e circa 5 milioni quelli obesi; le percentuali più alte di adulti obesi si registrano in Molise (13.5%), Basilicata (13.1%), Puglia (12.6%). I bambini obesi italiani sono il 10.2% del totale (peggiori al mondo dopo gli Stati Uniti con il 14%. Anche in questo caso le regioni peggiori sono Basilicata, Puglia, Molise, Campania, Abruzzo. Giacché il 70% dei bambini obesi rischia di restare obeso da adulto e che in media un terzo degli obesi adulti lo era da bambino, tra il 2025 e il 2050 la crescita degli adulti obesi sarà del 2.8% medio annuo.

Diagnosi e classificazione

Diverse sono le metodiche per la determinazione della massa grassa in vivo, tra loro differenti per praticità, accuratezza e costi (Pesata idrostatica, Pletismografia ad aria, Plicometria, Bioimpedenzometria, Circonferenze Corporee, DEXA, RM, TC, Ecografia), ma è l’indice di massa corporea o BMI (Body Mass Index) quello adottato ufficialmente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità quale indicatore dello stato ponderale dell’individuo. Tale indice si ottiene dividendo il peso in kg del soggetto per il quadrato dell’altezza espressa in metri. Anche se presenta alcuni limiti (non tiene conto, per esempio, di fattori come corporatura, entità della massa magra, genere, età), si è dimostrato comunque un soddisfacente predittore della percentuale di grasso corporeo, sicuramente facile da calcolare e molto utile sia nel singolo individuo che negli studi clinici ed epidemiologici.

La maggior parte delle indagini longitudinali mirate allo studio dei rapporti tra BMI e rischio per la salute ha dimostrato in modo concorde che il rischio di morbilità e mortalità aumenta con l’aumentare dei valori di BMI e si son potuti identificare dei cut-off che ci permettono di classificare gli stati ponderali in classi a progressivo aumento di rischio per la salute. La classificazione più seguita è quella proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Le numerose evidenze epidemiologiche e la crescente mole di studi sulla funzione endocrina del tessuto adiposo hanno reso evidente come non tanto l’entità totale della massa adiposa bensì la sua particolare distribuzione regionale, ovvero centrale o addominale o viscerale, è quella che, a parità di BMI, si associa a maggior rischio di morbilità e mortalità. Nella pratica clinica, per la valutazione della distribuzione regionale del grasso sono più adoperate le circonferenze corporee, specie quella della vita e dei fianchi. Poiché sia la misurazione della circonferenza vita che il rapporto vita/fianchi sono correlati in modo sovrapponibile all’entità della massa adiposa viscerale e quindi ai fattori di rischio per mattia coronarica e infarto miocardico acuto (ipertensione, iperglicemia, iperlipidemia), il parametro più utile nella pratica clinica, per la sua maggiore semplicità, è la misura della circonferenza vita.

Cause di obesità

L’obesità è una patologia cronica ad eziopatogenesi complessa: i vari fattori che la determinano (predisposizione genetica, scorretta alimentazione, inattività fisica) sono in rapporto tra loro secondo equazioni lineari e non lineari che rendono imprecisa la previsione degli esiti.

Esistono poi forme secondarie di obesità, molto meno frequenti dell’obesità essenziale, che sono dovute a cause note. In particolare, si distinguono:

  • forme genetiche, quali la Sindrome di Prader-Willi (PWS), che è la causa più frequente di obesità genetica (caratterizzata da grave ipotonia nel periodo neonatale e nei primi due anni di vita e alla insorgenza di iperfagia, che esita nel rischio di obesità patologica durante l'infanzia e nell'età adulta, a difficoltà di apprendimento e a disturbi comportamentali o problemi psichiatrici gravi)

  • forme endocrine: disturbi della tiroide, disordini ipofisari come deficit di GH, aumento della secrezione di cortisolo, sindrome dell’ovaio policistico, insulinoma

  • forme secondarie all'assunzione di farmaci, soprattutto cortisonici, alcuni antidepressivi, antipsicotici, alcuni antiepilettici

Complicanze dell’obesità

Il sovrappeso e l’obesità sono responsabili di circa l’80% dei casi di diabete tipo 2, del 55% dei casi di ipertensione arteriosa e del 35% di casi di infarto: tutto ciò si traduce in un milione di morti l’anno e 12 milioni di malati all’anno. L'obesità riduce l'aspettativa di vita di circa 7 anni e, nella popolazione gravemente obesa, di 9 anni nelle donne e 12 anni negli uomini.

Tra le complicanze più frequenti dell’obesità:

  • diabete tipo 2, malattia cronica caratterizzata da livelli di glicemia al di sopra della norma che può portare a complicanze gravi come cecità, insufficenza renale, aterosclerosi, infarto miocardico e neuropatie gravi

  • dislipidemia, caratterizzata da livelli di trigliceridi maggiori di 150 mg/dl oppure alti livelli di colesterolo LDL con bassi livelli di colesterolo HDL (minore di 50 mg/dl nelle donne, e 40 mg/dl negli uomini)

  • ipertensione arteriosa e complicanze cardiache: rischio aumentato di infarto miocardico, fibrillazione atriale e insufficienza cardiaca

  • steatosi epatica e steatoepatite: caratterizzata da accumulo di grasso epatico che può evolvere fino alla cirrosi epatica e all’epatocarcinoma

  • calcolosi della colecisti

  • ernia jatale e reflusso gastroesofageo

  • patologie respiratorie quali la sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS) caratterizzata da ripetuti episodi di completa e/o parziale e/o prolungata ostruzione delle vie aeree superiori durante il sonno, normalmente associati a una riduzione della saturazione di ossigeno nel sangue

  • complicanze osteo-articolari, come osteo-artriti da carico (soprattutto a livello delle ginocchia e delle anche) in cui Il dolore e il deficit funzionale che ne comportano inducono una riduzione del livello di attività fisica e un aggravamento del grado di obesità, creando un circolo vizioso.

Terapia dell’obesità

Gli approcci terapeutici per il paziente obeso sono diversi e dipendono dal grado di severità dell’obesità ovvero dall’indice di massa corporea (BMI) e dalla presenza di patologie associate.

Le linee guida nazionali e internazionali indicano che il primo gradino della terapia è rappresentato dalla modificazione dello stile di vita, attraverso l’educazione alimentare e l’esercizio fisico.

La scelta del tipo di terapia dietetica è sempre basilare e strategica per i risultati a lungo termine. La restrizione calorica bilanciata con dieta mediterranea rimane l’approccio dietetico di prima scelta, penalizzato però dall’alta incidenza di fallimento per la difficoltà a controllare la fame. Un’accreditata alternativa per il trattamento dell’obesità è il piano alimentare basato sulle diete ad apporto calorico molto basso (very low caloric diet, VLCD) che, quando concepite riducendo prevalentemente i carboidrati rispetto a proteine e lipidi, prendono il nome di diete chetogeniche poichè inducono chetosi, un fenomeno biochimico che, determinando una ridotta sensazione di fame, favorisce una rapida e importante perdita di peso.

La terapia farmacologica per l’obesità, in aggiunta a dieta ed esercizio fisico, è da considerare quando gli altri presidi non farmacologici si siano dimostrati insufficienti, come nel caso di un inadeguato calo ponderale iniziale o, una volta raggiunto il peso appropriato, quando questo non possa essere mantenuto con la sola dieta. I farmaci attualmente approvati in Italia per il trattamento dell’obesità sono tre e sono indicati in pazienti adulti con indice di massa corporea (BMI) maggiore di 30 Kg/m2 oppure maggiore di 27 Kg/m2 in presenza di almeno una complicanza dell’obesità. In particolare, si distinguono:

- orlistat: compresse da assumere durante i pasti che inibiscono l’assorbimento intestinale dei grassi. Tra gli effetti collaterali, diarrea con feci grasse e maleodoranti

- liraglutide 3 mg: analogo di un ormone prodotto dall’intestino (GLP-1) che viene somministrato una volta al giorno per via sottocutanea e determina calo ponderale agendo a livello dei centri della fame e inducendo sazietà precoce

- naltrexone/bupropione: compresse caratterizzate dall’associazione di un anti-depressivo con un antagonista degli oppioidi che, agendo in modo sinergico, determinano riduzione dell’appetito e aumento del dispendio energetico.

Se con dieta, attività fisica, terapia comportamentale e terapia farmacologica non si riescono ad ottenere risultati soddisfacenti, si può prendere in considerazione la chirurgia bariatrica. Questa deve essere presa in considerazione come opzione terapeutica nei pazienti adulti (età 18-60 anni) con obesità severa (BMI > 40 kg/m² o BMI > 35 kg/m² se in presenza di comorbilità associate), in cui precedenti tentativi di perdere peso e/o di mantenere la perdita di peso con tecniche non chirurgiche siano falliti e in cui vi sia la disponibilità ad un prolungato follow-up post-operatorio. La chirurgia bariatrica è da considerarsi controindicata nei pazienti che presentino una delle seguenti condizioni: assenza di un periodo di trattamento medico verificabile, incapacità a partecipare a un prolungato protocollo di follow-up, patologia psichiatrica maggiore, alcolismo e tossico-dipendenza, ridotta aspettativa di vita, inabilità a prendersi cura di se stessi in assenza di un adeguato supporto familiare e sociale.

Qualsiasi sia l’approccio terapeutico utilizzato, per ottenere dei benefici clinici significativi un calo ponderale del 5-10% del peso iniziale, seppur modesto, è rilevante in termini di miglioramento di molti parametri metabolici, correlati al rischio cardiovascolare.